STARDUST, IL FILM SU BOWIE

Interrompo qualsiasi attività che stessi svolgendo per commentare la notizia, uscita ieri improvvisamente, di un biopic su David Bowie che avrebbe già un titolo e perfino un protagonista. 

Innanzi tutto, la notizia è stata, se non smentita, quanto meno ridimensionata da Duncan Jones, il figlio di Bowie, che su twitter ha affermato di non aver ceduto a nessuno i diritti per realizzare un film su suo padre. Il fantomatico film in questione quindi potrebbe forse al massimo aspirare ad essere una sorta di sceneggiato ispirato al personaggio di Bowie…cosa che, naturalmente, è già stata fatta, e a mio parere con risultati deludenti e caricaturali (parlo ovviamente di Velvet Goldmine).

Secondariamente, mi permetto di dire che, visto anche la presa di distanze da parte degli eredi, l’iniziativa suscita diversi sospetti di opportunismo: ovvero, sorge evidentemente con la volontà di sfruttare l’onda del successo di Bohemian Rhapsody. Quindi non certo con le migliori intenzioni, e non è questo che mi aspetto da un film su Bowie. Se mai questo film dovesse essere fatto, intanto sarebbe auspicabile che se ne occupasse proprio Duncan Jones, che guarda caso è regista, ma soprattutto non accetterei nulla che andasse solo poco al di sotto del livello capolavoro assoluto della storia del cinema.

Mi spiego: ho accolto con favore e atteso a lungo il film sui Queen, cercando comunque di non crearmi troppe aspettative per non restare delusa, cosa che decisamente non si è verificata. Ma il caso di Bowie è totalmente diverso. La vicenda dei Queen si prestava a essere trasposta in film. Sono una band spettacolare, esplosiva, cinematografica di per sé. E pur tuttavia non era facile restituire il carisma e l’intensità di un personaggio come Freddie Mercury (Malek ne è uscito bene, tanto che si parla di Oscar, e comunque non regge assolutamente il confronto con il vero Freddie!!). Ma il caso di Bowie è totalmente diverso…è un personaggio di una complessità tale che risulta veramente improbabile pensare di riuscire a restituirne anche solo in parte la personalità. Ha vissuto almeno venti vite in una sola… quale di queste verrebbe approfondita nel film? Ovviamente la parte di Ziggy Stardust (come già si evincerebbe dal titolo), che però non basta assolutamente a rendere giustizia a ciò che è stato veramente Bowie. Senza contare che lo stesso Bowie era anche un attore, e per di più dotato di una mimica facciale (appresa anche grazie allo studio con Lindsey Kemp) praticamente inimitabile.

Insomma, sarebbe bello vedere, prima o poi, un film su di lui…ma solo a patto che fosse veramente qualcosa di straordinario, e non ci sono i presupposti perché Stardust lo sia. Sulla scelta del protagonista (tale Johnny Flynn): già è tanto che non sia Tilda Swinton (probabilmente fuori budget); bene che non sia particolarmente famoso e che non assomigli troppo a Bowie (un buon trucco e un’ottima interpretazione sarebbero la miglior cosa). Ma non mi aspetto comunque niente di buono. 

MIGLIORI LOOK NELL’ARTE: ANDY WARHOL

Like to take a cement fix
Be a standing cinema
Dress my friends up just for show
See them as they really are
Put a peephole in my brain
Two New Pence to have a go
I’d like to be a gallery
Put you all inside my show

Così David Bowie descrive Andy Warhol in una sua canzone (Andy Warhol, tratta da Hunky Dory, 1971). Anche se Warhol ebbe modo di dichiarare che la canzone non gli piaceva per niente, trovo che descriva molto bene alcuni tratti della sua personalità artistica, e in particolare la tendenza insopprimibile a trasformare qualsiasi cosa in arte. Compreso sé stesso (cosa che del resto lo accomuna a Bowie).

Coerentemente con la sua pratica artistica, che esaltava gli oggetti più banali del quotidiano, anche gli abiti di Warhol erano solitamente abbastanza banali. Tuttavia si faceva riconoscere per il ciuffo sfrangiato di capelli biondo platino e gli occhiali tondi e spessi, che hanno reso il suo stesso volto un’icona. Negli anni Ottanta indossava una parrucca argentata, che è stata battuta all’asta nel 2006 per 10.800 dollari!

Il suo aspetto stravagante faceva quindi parte tanto della sua personalità quanto della sua arte, e Warhol trattò la sua immagine proprio come quella delle dive del cinema che ritraeva nelle sue opere, o dei barattoli di zuppa e gli altri prodotti di consumo di massa, ingigantiti, colorati e riprodotti innumerevoli volte nelle sue serigrafie. Girava sempre con una macchina fotografica al collo, pronto a ritrarre qualsiasi cosa cogliesse la sua attenzione, e realizzò moltissimi autoritratti. Ve ne presento qualcuno, assieme a foto scattate da altri fotografi ma che ci trasmettono al meglio il suo look iconico.

 


WARHOL SUL GRANDE SCHERMO:

Forse non sapevate che proprio David Bowie interpretò Warhol nel film Basquiat del 1996, diretto da Julian Schnabel. Lo riconoscereste?

 

Si sa che Bowie, che era un esperto e collezionista di arte, ammirava molto Andy Warhol, tuttavia non sembra che questa ammirazione fosse ricambiata dall’artista. I due si incontrarono soltanto una volta, nel 1971, quando David partecipò ad uno degli screen test di Warhol. Gli screen test non era altro che dei brevissimi filmati, fatti dallo stesso Warhol, che riprendeva delle persone senza che queste facessero nulla. In tale occasione, non sembra però che Warhol sia rimasto particolarmente impressionato dal giovane David.

MIGLIORI LOOK NELLE SERIE TV: TWIN PEAKS

[SPOILER]

L’evento televisivo dell’anno è stata la messa in onda della terza stagione della serie di culto, bruscamente interrottasi venticinque anni fa. 

Parte del fascino delle prime due stagioni di Twin Peaks si deve ai personaggi che la popolano, ognuno caratterizzato dal proprio look peculiare. Il cast originario si suddivideva tra personaggi femminili di rara bellezza e glamour e personaggi bizzarri al limite del freak.

L’aspetto visivo era studiato nei minimi dettagli anche per quanto riguarda personaggi minori e persino comparse, in modo da contribuire all’atmosfera surreale della serie.

In molti casi inoltre, un cambiamento drastico nel look di un personaggio segnalava un cambiamento nella sua personalità: come nel caso di Leland Palmer, i cui capelli diventano improvvisamente bianchi dopo l’omicidio di Jacques Renault.

La terza stagione avrà raggiunto lo stesso livello di raffinatezza per quanto riguarda lo studio di costumi e aspetto dei personaggi? Mentre ci penso, potete vedere un esame approfondito dei Migliori Look della prima e seconda stagione:

 

 

 

MIGLIORI LOOK ANNI SETTANTA: DAVID BOWIE – Parte I

Avevo iniziato a scrivere questo post la settimana scorsa per pubblicarlo in concomitanza con il suo compleanno e l’uscita del nuovo album Blackstar, ma non ci sono riuscita perché la sua carriera è stata così straordinaria che la sola selezione dei suoi  Migliori Look di Tutti i Tempi richiede veramente molto tempo. Così lo avevo lasciato interrotto per completarlo con più calma, non sapendo che si sarebbe trasformato in un’elegia per la sua scomparsa. 

Oggi lo pubblico incompleto come lo avevo lasciato, con la consapevolezza che non rende giustizia a un artista così straordinario come David Bowie, e deciderò poi se continuarlo o crearne di nuovi.


 

A lui ho già dedicato una panoramica sull’enciclopedica mostra David Bowie Is apertasi al Victoria and Albert Museum di Londra e diventata poi itinerante (https://migliorilook.wordpress.com/2015/01/29/migliori-look-in-mostra-david-bowie-is/), ma è evidente come non possa bastare a rendere omaggio ad un personaggio tra i più influenti del Novecento in fatto di costume.

Oggi, 8 gennaio, in concomitanza con l’uscita, nel giorno del suo 69° compleanno, del nuovo album Blackstar, voglio dedicare un’analisi più approfondita ai Migliori Look di David Bowie. A partire dal decennio della sua consacrazione mondiale: gli anni Settanta.

Riassumere in poche righe le trasformazioni estetiche subite dal personaggio-Bowie anche solo nell’arco di un decennio non è compito semplice ma, semplificando di molto, proviamo a discernere alcune tappe di questa continua e camaleontica evoluzione.

Come abbiamo già avuto modo di accennare (https://migliorilook.wordpress.com/2015/03/13/migliori-look-degli-anni-sessanta-lo-stile-/), Bowie aveva dimostrato una particolare cura dell’aspetto fisico fin dai suoi primi passi nel mondo della musica, aderendo allo stile mod durante gli anni Sessanta. Ma è dal decennio successivo che porta a compimento uno stravolgimento totale del suo look, grazie anche all’aiuto della prima moglie Angie, sposata nel 1970, che stando a molte testimonianze ebbe un ruolo importante nella costruzione del personaggio di Bowie e nella cura dell’aspetto fisico nella prima parte della sua carriera, che dai capelli lunghi e biondi agli abiti femminili, comincia a farsi sempre più androgino: anche indossando, spesso, proprio i vestiti della moglie!

 

Ma la vera consacrazione di Bowie arriva nel 1972, con la pubblicazione di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars e la “nascita” di un nuovo personaggio, una nuova maschera da indossare sulla scena: il leggendario Ziggy Stardust. Bowie taglia i suoi capelli biondi e li tinge di un rosso vibrante, copiando la pettinatura vista su una modella in un giornale. Inoltre accentua il suo carattere androgino indossando abiti ancora più vistosi e multicolori, scarpe con tacchi alti e zeppe e accessori come orecchini chandelier, e senza tralasciare una buona dose di make up. E’ una vera rivoluzione, attuata sia attraverso la musica che attraverso la propria fisicità, un’esortazione ad essere sé stessi e a rompere tutte le barriere e le convenzioni sociali che ci vogliono sempre più omologati. Un messaggio che, a tutt’oggi, non è stato ancora pienamente recepito. L’ispirazione per i suoi look eccentrici viene da molteplici orizzonti: dal mondo dell’arte e dall’Oriente, sia per lo Ziggy Stardust Tour, che per il successivo Aladdin Sane Tour, per il quale commissiona allo stilista giapponese Kansay Yamamoto una serie di abiti straordinari, mentre per il trucco si ispira fortemente al teatro kabuki. Questo periodo della carriera di Bowie resterà probabilmente il più rivoluzionario e significativo dal punto di vista estetico, anche se Bowie non smetterà mai di sperimentare in questo campo, come nella musica.

Ziggy Stardust era destinato del resto ad una vita molto breve, del tutto sproporzionata rispetto alla duratura influenza che eserciterà nella musica e nel costume dei decenni successivi, perché lo stesso Bowie lo “uccise” sul palco durante il leggendario concerto del 3 luglio 1973 all’Hammersmith Odeon di Londra.

Nel 1974 Bowie si trasferisce a Los Angeles, dove inizia un periodo della sua vita tra i più tormentati, tra dipendenza dalla cocaina e occultismo, ma il livello della sua produzione si innalza ulteriormente, con la pubblicazione di Young Americans e Diamond Dogs, seguito dal Diamond Dogs Tour. Si tratta di uno spettacolo tra i più teatrali mai organizzati da Bowie.

 


Inutile aggiungere che, questa volta, Ziggy è morto per davvero, in maniera completamente inaspettata, perché era riuscito a mantenere segreta una malattia durata un anno e mezzo, a quanto si sa per ora. 


APPROFONDIMENTI: 

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Questo post è rimasto incompleto anche per l’effetto della notizia della morte di Bowie, che mi ha profondamente colpita. Mi riservo di continuarlo appena posso, considerando l’enorme quantità di materiale che si può raccogliere volendo fare una recensione dei Migliori Look mai proposti da David Bowie, un vero mago in questo campo.
Ma non ho intenzione di lasciarvi a bocca asciutta. Su Bowie, soprattutto dopo la morte, ma anche prima, sono stati pubblicati innumerevoli libri. Tra i Migliori restano la biografia di David Buckley e l’Enciclopedia, di Nicholas Pegg:
strangfasc
Strange Fascination, scritto da David Buckley e aggiornato dopo la morte di Bowie, rimane una tra le più complete e accurate biografie su di lui.
enciclopedia

L’enciclopedia definitiva, redatta da Nicholas Pegg. Per chi vuole sapere veramente tutto su Bowie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MIGLIORI LOOK DEGLI ANNI SESSANTA: LO STILE MOD


Il termine “mod” è l’abbreviazione di “modernism”, e indica una subcultura giovanile sviluppatasi a Londra nei tardi anni Cinquanta, che raggiunse però la massima diffusione negli anni Sessanta. I giovani che si ritenevano Mod ascoltavano musica di un certo tipo (soul, ska, beat, rhythm and blues), e si caratterizzavano per il look molto curato. Inoltre amavano girare con scooter italiani (Vespe e Lambrette).
Il look mod maschile era molto sofisticato e comprendeva abiti di sartoria, cravatte sottili, maglioncini di lana, Chelsea boots o Beatle boots come calzature. Sebbene i Beatles non si siano mai etichettati come Mod e comunque la loro musica non fosse diffusa nell’ambiente, nei primi anni adottarono uno stile squisitamente Mod nel vestire. Del resto diventò uno stile piuttosto diffuso, e anche il giovane David Bowie nei primi anni di carriera vestiva in questo modo. 

In realtà il più famoso gruppo musicale legato all’ambiente Mod sono stati gli Who. Il logo stesso della band riprende il simbolo del movimento Mod, basato a sua volta su quello della Royal Air Force (un bersaglio stilizzato con i colori della Union Jack).

Per quanto riguarda invece il modo femminile di vestire Mod, molte donne che adottarono questo stile in realtà si vestivano in maniera androgina, imitando il look maschile, con capelli corti, pantaloni da uomo e scarpe basse. Successivamente, grazie a stiliste come Mary Quant e a modelle come Twiggy, si diffuse la minigonna. Tipici della cultura mod sono anche gli abiti a trapezio con fantasie geometriche e optical, in bianco e nero o colori accesi.

MIGLIORI LOOK IN MOSTRA: DAVID BOWIE IS

Uno dei pochi eventi degli ultimi anni degni di restare nella memoria collettiva è la mostra dedicata a David Bowie, aperta per la prima volta nel 2013 al Victoria and Albert Museum di Londra e ora divenuta itinerante e ancora visitabile da qualche parte del mondo. Da estimatrice di Bowie quale sono, non ho potuto fare a meno di volare a Londra solo per vederla, ma è indubbio che non si tratta di un’iniziativa rivolta agli ammiratori di un qualsiasi cantante alla moda, quanto dell’omaggio alla decennale carriera di un artista cui si fa un torto a definirlo solo “musicista”. L’ambizione (soddisfatta) della mostra era infatti quella di documentare la poliedrica attività di Bowie a 360 gradi, dalla musica al mimo, al teatro, al cinema, non ultima alla pittura. Dimostrando come Bowie abbia saputo essere sia catalizzatore che ispiratore dei fermenti culturali più significativi dell’ultimo mezzo secolo, spesso facendosi mediatore tra cultura “alta” e cultura “di massa” come nessun altro è stato capace. Credo che queste siano le reali motivazioni che hanno spinto un museo prestigioso come il V&A a dedicare una retrospettiva di così grande portata a un personaggio come Bowie: il dovuto riconoscimento di una nazione (un minimo di orgoglio nazionale da parte del Regno Unito ad un suo illustre figlio mi sembra di averlo percepito) ad un artista multiforme e geniale, che è riuscito a segnare un’epoca difficile da interpretare, come la nostra. In mostra, una quantità pressoché sterminata di materiale: numerosissimi gli oggetti e memorabilia vari, tra cui strumenti musicali, i manoscritti originali dei testi delle canzoni (indimenticabile il foglietto stropicciato di carta millimetrata su cui sono annotate le parole di “Heroes”!), oggetti di scena dei film, copertine dei dischi. Inoltre fotografie, video rari o inediti, ma anche opere d’arte sia di artisti come Andy Warhol o Victor Vasarely che di Bowie stesso, il quale è infatti anche pittore oltre che amatore d’arte e collezionista. Il tutto presentato con una scenografia spettacolare ad alta tecnologia, grazie ad una sinergia di audio e video resa possibile da un sofisticatissimo e innovativo sistema. In mezzo a tutto questo, la parte da leone la fanno però i costumi di scena, esposti a decine, forse a centinaia su manichini che riportano le fattezze del vero Bowie, grazie all’uso di un calco preso direttamente dalla sua faccia nel 1974. Se l’impatto dell’aspetto scenico di Bowie è stato enorme sulla cultura di questi decenni, altrettanto lo è quello di trovarsi di fronte ai costumi originali che hanno reso possibile tutto ciò. Fin dai primi anni di carriera, ancora giovanissimo, Bowie dimostrava di avere una cura particolare per il suo look. Ma è con i primi anni Settanta e con la “nascita” di Ziggy Sturdust che si registra il passaggio a qualcosa di più di un look accattivante per supportare la propria immagine pubblica. MI riferisco al fatto che da questo momento l’aspetto fisico di Bowie, grazie all’apporto di stilisti come Freddie Burretti e Kansay Yamamoto, e di truccatori come Pierre Laroche, diventa una forma d’arte parallela, supportata dal suo stesso atteggiamento scenico, allenato grazie agli studi giovanili da mimo con Lindsay Kemp e sviluppato nel tempo grazie alla sua grande sensibilità artistica. Emblema massimo di tutto questo, un video come quello di “Life on Mars?”, in cui tutto è incentrato sulla figura di Bowie, che rassembra le sembianze di un alieno tramite un completo azzurro e gli occhi cerchiati dello stesso colore, a contrasto con i capelli rossi. Attorno: il nulla. La forza del video è dovuta tutta al contrasto cromatico e alla presenza scenica di Bowie, su cui la camera si sofferma con insistiti primi piani. Successivamente, invece, Bowie si avvale delle creazioni dello stilista giapponese Yamamoto, in alcuni casi vere e proprie sculture, spesso ispirate all’Oriente, così come il trucco, che si rifà al teatro kabuki. Abiti che, visti da vicino, rivelano ricami raffinatissimi e colori sgargianti. Mi è impossibile riassumere ora l’intera sequela degli infiniti travestimenti del camaleontico Bowie: volevo piuttosto dare uno sguardo d’insieme sulla mostra, la cui attrattiva principale sono proprio i costumi. In definitiva, un assaggio di quello che proporrò successivamente, visto che non mi posso assolutamente esimere dall’analizzare nel dettaglio la carriera di Bowie sotto il punto di vista scenico, proprio perché in questo campo è stato uno dei personaggi più significativi dei nostri tempi.


FONTI: 

Il bellissimo catalogo della mostra è diventato un punto di riferimento per ogni appassionato di Bowie. E’ ancora acquistabile online:

Bowie is cat